200 chiese chiuse a Napoli, tra abusi edilizi e occupazione

Ci sarà un motivo se, tra i vari appellativi che sono stati affibbiati a Napoli nel corso della sua storia millenaria, compare anche quello di “città dalle cinquecento cupole”. E la ragione è presto spiegata: bastano pochi passi in uno dei centri storici più seducenti del mondo per essere pervasi della presenza fisica e spirituale della religione in una città che, in realtà, è da sempre a metà strada tra sacro e profano, tra cieca devozione e pura scaramanzia.

Ma a rendere il tutto ancor più esoterico, è il numero impressionante di chiese sconsacrate: edifici gotici, barocchi e neoclassici che rappresentano un patrimonio storico, artistico e culturale da tutelare e che, al contrario, versano troppo spesso in stato di degrado ed abbandono. Ciò che proponiamo è un percorso tra le chiese sconsacrate del centro storico napoletano – lungo i Decumani principali della città antica – nella speranza che queste meravigliose opere di arte e architettura possano essere presto rivalutate e riportate all’antico splendore.

In principio fu Tomaso Montanari: il 14 settembre 2021 per Einaudi arriva in libreria Chiese chiuse, un catalogo di chiese inaccessibili, saccheggiate, pericolanti o convertire in altro da sé – e se possibile – in attrazioni turistiche a pagamento, in esclusive location per eventi o in suggestive dimore dove soggiornare. L’«epicentro del disfacimento delle antiche chiese» italiane è Napoli, città dove Montanari ha insegnato per diversi anni e che ben conosce. In quel libro ci sarebbe materia per decine di interrogazioni parlamentari, lavoro per mesi, forse anni, per il Ministero della Cultura e le Soprintendenze ma, come spesso accade, non succede nulla.

Passa un anno, riparte Report, la trasmissione di Rai Tre condotta da Sigfrido Ranucci e, a notte inoltrata, il 7 novembre 2022 va in onda l’inchiesta di Danilo ProcacciantiLa messa è finita. Argomento? Le chiese chiuse, offese o non più adibite al culto di Napoli di cui nemmeno la Curia partenopea ha contezza: «Neppure il Padre Eterno sa quante chiese sono concentrate nel centro storico di Napoli», scherza mons. Vincenzo Doriano De Luca, portavoce della Diocesi. Secondo la Curia sarebbero 203 di cui 79 aperte al culto. Sarebbero, ma «proprio perché sfuggono al controllo, nelle chiese di Napoli succede di tutto», racconta Procaccianti. Si parte con l’abuso edilizio presso la chiesa di Sant’Arcangelo a Baiano nel quartiere di Forcella: dalla soppressione nel 1577 del monastero per immoralità, orgie e nefandezze, si è passati a un balcone anteposto in facciata e stanze dentro la navata. Un abuso rilevato dai Vigili urbani ben 34 anni fa. San Biagio dei Caserti, chiusa e abbandonata da tempo immemore, è un parcheggio privato con tanto di cancello e lucchetto più terrazzino con ombrellone dietro la facciata.

Garage a pagamento, centro fitness, negozio, location per eventi, concerti, feste di compleanno e di Halloween, banchetti di nozze, la fantasia dei cambi di destinazione d’uso abbonda: San Gennariello a Spogliamorti da 70 anni è una falegnameria, le cripte della chiesa di Sant’Agostino alla Zecca – chiusa da 40 anni – sono diventate officine. Ma non è tutto. Nell’impossibilità di gestire il patrimonio immobiliare, nel 2010 il cardinale Crescenzio Sepe, allora arcivescovo di Napoli, concede alcune chiese in comodato d’uso gratuito ad associazioni ed enti senza scopo di lucro per attività compatibili con gli edifici di culto. Una di queste è San Francesco delle Monache, adibita a concerti e iniziative culturali, ancora famosa per una conferenza del 2013 del drammaturgo cileno Alejandro Jodorowsky dove, tra esoterismo, sciamani e tarocchi, si teorizzò la masturbazione femminile.

Se la Curia partenopea sembra distinguersi per incapacità, tra incuria e abusi, mancati controlli e mala gestione, in questa brutta storia emerge Giacomo Onorato, cavaliere della Repubblica con un passato da carabiniere, che da anni veglia sulle speculazione dei luoghi pubblici sacri concessi in comodato, denuncia nefandezze e invoca una riforma morale contro il potere delle confraternite.

Ma c’è anche chi guarda il dito anziché la luna come don Maurizio Patriciello che l’indomani di buonora scrive su Facebook: «Avete visto Report ieri sera? Mi era sembrato strano che don Franco Cirino, mio amico, non avesse detto una sola parola riguardo a un bene della Curia di Napoli trasformato in un albergo. Ho telefonato subito a don Franco. Era basito. Di cose lui ne aveva dette, e tante. Tutte completamente tagliate da Report. Don Franco, Economo della diocesi di Napoli, aveva spiegato agli italiani, credenti e non credenti, come stavano veramente le cose. Ma, evidentemente, a Report non interessava la verità. E ci ha propinato un servizio taglia-cuci per dire quello che fin dall’inizio avrebbe voluto dire. Mi dispiace tanto. Ho sempre apprezzato questa trasmissione. Ma oggi mi chiedo se tutti coloro che si rifiutano di essere intervistati non lo facciano per non essere strumentalizzati come è successo, ieri sera, a don Franco Cirino, al quale va tutta la nostra stima e il nostro affetto».

Sulla questione interviene sui social la redazione di Report «Per onore di verità e per chiarezza d’informazione – anche nei confronti dei lettori del Secolo d’Italia che ha ripreso il commento di Don Patriciello» e rende pubblica l’intervista integrale ai due prelati. «Ci dispiace – scrivono – che Don Patriciello, parroco stimato da sempre per il suo impegno quotidiano, abbia dubitato di Report. Inoltre, l’inchiesta di Report ha toccato il problema delle centinaia di chiese chiuse, abbandonate o usate per eventi non consoni a un luogo di culto. Se il problema è la frase dell’Economo non andata in onda si è legittimati a pensare che i luoghi di culto abbandonati rimarranno tali».

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