Nasceva oggi 125 anni fa il principe…
Antonio De Curtis
15-2-1898 15-4-1967

Antonio De Curtis in arte Totò (foto Ansa)

Cosa si può dire ancora di Totò, per gli amici Antonio De Curtis ma per l’anagrafe Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi de Curtis di Bisanzio? Nasceva il 15 febbraio del 1898 e tanto fu applaudito in vita, tanto fu un’anima solitaria come solo i grandi comici sanno essere.

Dopo una consacrazione postuma che lo ha innalzato ai vertici della popolarità e dell’arte, su di cui scrissero studiosi (Umberto Eco) e artisti (Pasolini disse che la “sua maschera riuniva perfettamente l’assurdità e il clownesco con l’immensamente umano”). Figlio illegittimo del Barone Giuseppe De Curtis e di Anna Clemente, Antonio Clemente detto Totò nasce nel cuore della “guapperia” napoletana al Rione Sanità. Malinconico e solitario, il padre lo riconobbe dopo i 20 anni, Totò si rifugia fin da bambino dietro la maschera del comico e dell’istrione, le sole armi con cui si fa amare da compagni e grandi. Esordisce sui palcoscenici periferici di Napoli già nel 1913, ma è solo dopo la Grande Guerra (sotto le armi ma lontano dal fronte) che abbraccia il suo destino sul palcoscenico della Sala Napoli scritturato da Eduardo D’Acierno.

Il padre riunisce la famiglia a Roma e qui Totò, nella totale disapprovazione dei genitori, comincia la sua vera gavetta da “straordinario” di compagnia, aggregato a diverse formazioni, spesso lasciato senza lavoro e senza soldi, ma nonostante tutto inizia a farsi largo nel mondo della commedia dell’arte e dell’avanspettacolo. Il fortuito incontro con Giuseppe Iovinelli, l’impresario dell’Ambra Iovinelli di Roma, e l’inaspettato successo delle sue macchiette ne fanno rapidamente un divo della scena comica. Non scorderà mai però la fatica degli esordi: “La miseria – diceva – è il copione della vera comicità… Non si può essere un vero attore comico senza aver fatto la guerra con la vita”. Simile in questo a Charlot, che spesso additò a modello, desolato come Buster Keaton a cui fin troppo spesso veniva accostato per la gestualità straniata, Totò fu però soprattutto un formidabile autodidatta, capace di cogliere nei tic della gente comune i tratti che poi elevava a gesti comici (da bambino lo chiamavano ‘o spione per la sua attenzione al lato buffo degli altri).

Nel pantheon dei grandi interpreti “del corpo” assomma i tratti di Eduardo e Tati, Chaplin e Keaton, ma non viene mai meno a una originalità senza limiti, che lo faceva applaudire anche dagli stranieri (dalla Svizzera alla Spagna), mentre solo la pigrizia e la timidezza provinciale gli preclusero i palcoscenici più grandi, compreso quello americano dove venne invano invitato. La sua eredità non viene ben descritta dai numeri, comunque impressionanti: 97 lungometraggi interpretati a passo di carica dopo l’esordio nel 1937 con “Fermo con le mani”, voluto da Goffredo Lombardo che cercava volti nuovi per il cinema; oltre 50 spettacoli tra commedia, rivista, avaspettacolo nell’arco di tempo che va dal 1928 al 1957 quando l’aggravarsi di una acuta malattia agli occhi lo rese praticamente cieco. In parallelo ci sono poi le prove da cantante (con un successo speciale per “Malafemmena“), le apparizioni televisive (memorabile “Studio Uno” con Mina), le poesie (la raccolta di “A’ livella“), i fumetti, le pubblicità, le apparizioni a sorpresa.

Ma il cuore di un successo che ancora oggi lo fa primeggiare su ogni altro protagonista della scena italiana, viene da una genialità interpretativa che sempre lo fece autore di se stesso, in una dimensione sospesa tra osservazione del reale e astrazione surrealista, satira e farsa, intuizione verbale (celeberrimi i modi dire che sono entrati nel lessico comune) e costruzione fisica (la maschera-automa, il guitto e il poeta, il pulcinella e il nobile). Benché abbia avuto al cinema pigmalioni come Cesare Zavattini e De Sica, solo a fine carriera ebbe l’onore dei maggiori autori italiani: lo voleva Fellini per mai realizzato “Viaggio di G. Mastorna”, lo scelse Pasolini (da “Uccellacci e uccellini” a “Che cosa sono le nuvole”), lo chiamarono Risi, Bolognini, Lattuada. Eppure nell’immaginario popolare vive soprattutto per i film interamente modellati su di lui, da “Miseria e nobiltà” a ” Totò le mokò”, da “I pompieri di Viggiù” a “47 morto che parla” fino ai vari episodi di ” Totò e Peppino” in coppia con l’amico De Filippo.

Fece scalpore anche nella vita privata, segnata da grandi passioni e dolori: dal suicidio della prima moglie, Liliana Castagnola, fino alla tormentata e appassionata storia con Franca Faldini. Si fece adottare, nel 1933, dal marchese Francesco Maria Gagliardi Focas, in rincorsa a quel prestigio aristocratico che gli sembrava riscattare le sue origini; si sentiva davvero erede del sacro romano impero e della corona di Costantinopoli, anche se le battaglie legali gli fruttarono spesso denunce e delusioni. Come in una pièce di Pirandello ebbe l’onore di 3 funerali: il primo a Roma, vegliato per due giorni dai più grandi di cinema e teatro; il secondo a Napoli in un bagno di folla con 250.000 anime straziate dietro al feretro; il terzo nel cuore di Spaccanapoli dove un guappo locale organizzò la cerimonia intorno a una bara vuota. Ma a quel punto la sua arte volava ormai da giorni nel firmamento dei geni.

Aneddoti e Curiosità

Ogni mattina Totò, appena uscito di casa,distribuiva ai poveri diecimila lire in biglietti da mille ciascuno.Si sparse la voce nel quartiere tanto che i mendicanti arrivavano sotto casa prima che il Principe uscisse con la speranza di essere i primi della coda. Andò a finire che gli inquilini scocciati dal viavai dei mendicanti aggiungessero un nuovo articolo al regolamento di condominio:era fatto obbligo al custode di tener lontani dal palazzo tutti gli importuni.
Totò soffrì tantissimo per quella clausola che lui giudicava ingiusta e il giorno in cui andò in vigore, porse le diecimila lire al suo autista: “Prendile tu io non so iniziare la giornata senza prima aver regalato qualche soldo”.

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