Lavoro e precariato, fino ad oggi un connubio perfetto in una situazione italiana quasi allo sfascio. Nel 2020 tale connubio è diventato un vero triangolo, con l’inserimento di un elemento di sfascio ancor più grave: il covid19 o più semplicemente il coronavirus.
Diciamo che sembra che la parola lavoro sia da sempre stata quasi sconosciuta nel nostro Bel Paese, ed in particolar modo al centro sud, ma, dati alla mano sembra che lo scenario sta peggiorando notevolmente in questi ultimi tempi e proprio a causa di un freno tremendo come il covid. Secondo dati Istat da maggio sono stati registrati 600mila disoccupati in più e 700mila persone inattive da febbraio. I più colpiti? Naturalmente le fasce considerate più deboli: giovani under 24, le donne, le partite Iva povere, i lavoratori temporanei e precari. E la crisi inizia a farsi sentire anche sui lavoratori “fissi” (-60 mila). La situazione peggiore è al Sud dove l’occupazione irregolare, e le nuove povertà, sono maggiormente concentrate. Il Mezzogiorno resta la zona più colpita con il 20% dei poveri che si trova in Campania, il 14% in Calabria e l’11% in Sicilia.
L’impatto del lockdown su un’economia già molto debole come quella italiana è stato devastante, il chiudere tutte le varie attività ha indebolito e di tanto una macchina già molto indebolita. Restano però da capire e da approfondire parecchi punti che però sono stati lasciati in sospeso.
C’è chi poi in questa situazione, già drammatica, ne approfitta per potersi disfare di vecchie leve, magari fino ad ora semplici lavoratori “a nero”, per iniziare un vero ciclo di legalizzazione dell’illegale: assumere giovanissimi con pseudo contratti da apprendistato e/o stage, illuderle e sfruttarle, fino a disfarsene come “oggetti usati”, al compimento del 29esimo anno di età, fascia in cui lo Stato non garantisce più copertura di tasse per l’imprenditore.
Gli esperti prevedono che sarà forte l’impatto sulla salute mentale determinato dalla disoccupazione generata dalla crisi economica. Diversi sono gli studi che confermano la tesi per la quale basso reddito e disoccupazione sono i due fattori che comportano un aumento del rischio di ammalarsi di depressione. Si parla di un aumento fino a 200mila casi di depressi a causa del lockdown e della crisi economica che ha scatenato la perdita di posti di lavoro.
Non sappiamo se ci sarà un seguito alla pandemia di coronavirus in Italia come nel mondo, ma quello che è certo è che, fin quando non si troverà un piano occupazionale adeguato, non potremo mai definirci una vera società del progresso, la vera pandemia e la causa di una vera strage non sarà il virus tanto temuto, ma un altro non visibile ma da impatto mortale decisamente superiore, la povertà da perdita di lavoro.