Nel suo nuovo romanzo Lo spettro della notte, Domenico Arezzo ci conduce nella Sicilia del 1893, tra miniere, silenzi e voci fuori dal coro. Un’opera densa di memoria e tensione civile, dove il paesaggio non è semplice cornice ma protagonista vivo e inquieto, e in cui la scrittura diventa strumento per esplorare le ombre della storia e dell’animo umano.
In questa intervista l’autore racconta il valore della solitudine come resistenza, il peso delle radici e la necessità di narrare il Sud con sguardo lucido, senza indulgenze né retorica. Al centro del romanzo c’è Nenè, giornalista scomodo, che si muove in una terra bruciata da potere, omertà e ingiustizia, dove anche la verità – come la notte – ha le sue trappole.
Un dialogo intenso su letteratura, identità e impegno.
Il Sud Italia, e in particolare la tua Sicilia, non è solo sfondo ma vero e proprio protagonista. Come hai lavorato sul paesaggio narrativo per renderlo parte integrante della tensione drammatica?
La Sicilia è musa ispiratrice, non potrei scrivere senza di lei. La mia terra è davvero la protagonista dello Spettro della notte, da lei scaturiscono i profumi, i colori, le ombre, le tensioni che emergono, lo spero, dalle pagine del romanzo. Alcune zone sono cambiate rispetto al 1893 ma l’essenza è quella, immutata nei secoli. Cortelle è un borgo in via di espansione, l’ho immaginato nella piana di Catania, circondata dal bosco di eucalipti con il vulcano che sembra potersi raggiungere in pochi passi, il mare e il porto. Ho vissuto a Catania per un periodo lavorativo e conosco bene i posti. Ho sempre immaginato come potevano essere stati a fine ‘800 e poi ho studiato un po’ la morfologia del territorio.
C’è una dimensione fortemente identitaria nel romanzo, legata alle radici, alla lingua e alle dinamiche familiari. Quanto è importante per te, come autore, raccontare il Sud senza mitizzarlo ma nemmeno svilirlo?
Uno scrittore deve impregnare le pagine dell’essenza della sua cultura, delle tradizioni, della lingua, della identità senza per questo produrre un’opera autobiografica. Se non lo facesse il romanzo sarebbe privo di carattere e poco interessante. Ciò che è importante e rimanere, per quanto possibile, nella ricostruzione della verità senza inventarsi nulla dal punto di vista storico. Enfatizzare o sminuire fatti davvero accaduti può essere frutto di un personalismo e di un protagonismo che non ho mai accettato.
Nené è un uomo solo in mezzo al rumore del potere e del conformismo. In che modo la sua solitudine diventa forza narrativa e, forse, forma di resistenza?
Sono le persone sole quelle che cambiano il corso agli eventi, le vere rivoluzionarie. Essere soli non significa isolati o senza amici e conoscenti, significa pensare in modo diverso dall’uomo comune, essere una voce fuori dal coro; una voce che a molti sembrerà stonata e fuori luogo, perfino fastidiosa. Ecco Nenè è un giornalista fastidioso, la sua voce potente riesce a smuovere le coscienze e in alcuni casi a intaccare l’omertà, la paura e il disinteresse.
“Lo spettro della notte” evoca nel titolo qualcosa di intangibile ma minaccioso. A livello simbolico, cos’è per te questo spettro? È un fantasma del passato o qualcosa che ancora ci attraversa oggi?
Lo spettro aleggia dentro ognuno di noi, è il fantasma che si annida nei pensieri, nelle intenzioni e nelle azioni. Lo spettro è la zona d’ombra del nostro cuore, è ciò che ci ricorda che siamo capaci di fare del male a noi stessi e agli altri e, se lo assecondiamo, è capace di intrappolarci in posti in cui nessun uomo vorrebbe stare. In posti in cui c’è solo disperazione, la nostra. Ecco perché ci sono persone che non hanno fatto pace con se stessi o con il proprio passato e si fanno trascinare dai propri fantasmi fino a commettere atti di cui a volte neanche si vergognano.
Guardando alla tua produzione letteraria nel suo complesso, questo romanzo sembra segnare un ulteriore passo verso una narrativa civile e impegnata. È una direzione consapevole o è la storia stessa a guidarti?
Gli elementi portanti della mia scrittura riguardano: la storia, l’introspezione e la suspense. A questi cerco sempre di affiancare tematiche civili e sociali. Oggi è come un tempo, nessuno pensa che ai nostri giorni non ci siano tensioni sociali e che queste non derivino dalle disparità economiche tra i ceti o che non ci sia la schiavitù o che sia risolta la questione della povertà e della criminalità. Questi temi purtroppo hanno cambiato forma ma sono presenti adesso come prima e la storia ci ha insegnato ben poco. Il mio prossimo romanzo un thriller psicologico, incentrato sulla suspense, tratta una tematica sociale importante, quella dell’emarginazione.