“Kintsugi”: un viaggio nella memoria e nell’identità con Anna Cantagallo

Nel panorama della letteratura contemporanea, “Kintsugi” di Anna Cantagallo si distingue come un’opera che affronta il tema della rinascita attraverso le crepe della vita. L’autrice, forte di una formazione sia medica che teatrale, costruisce una narrazione che non solo rispecchia i principi aristotelici della verosimiglianza e della necessità, ma si arricchisce anche di una sensibilità psicologica profonda.

L’intervista a Cantagallo rivela come il teatro abbia influenzato il suo approccio narrativo, permettendole di caratterizzare i personaggi con una cura quasi scenica. La sua formazione medica, seppur non preponderante, emerge nel linguaggio e nella prospettiva analitica con cui affronta le dinamiche umane.

Un aspetto significativo è il riconoscimento ottenuto con la finale al concorso Giorgione 2023, un segnale di apprezzamento che conferma la qualità del romanzo e il suo impatto sui lettori. Cantagallo sottolinea come questo traguardo le abbia dato maggiore fiducia nel suo lavoro, mostrando come l’approvazione di una giuria possa rappresentare un primo banco di prova per un’opera letteraria.

Il cuore di “Kintsugi” risiede nei suoi temi universali: il perdono, la memoria e la guarigione. L’autrice spera che il suo romanzo possa offrire ai lettori una riflessione sulla capacità di rimettere insieme i frammenti della propria vita, trasformando il dolore in un’opportunità di crescita. L’arte giapponese del Kintsugi diventa metafora perfetta per questa idea: non cancellare le ferite, ma valorizzarle come segni di un percorso unico e prezioso.

Affrontare una saga familiare che attraversa ampie fasce temporali non è un’impresa semplice. Cantagallo racconta le difficoltà e le soddisfazioni di questo tipo di scrittura, evidenziando la necessità di un approfondito studio storico e di un costante lavoro di cesellatura dei personaggi. Le figure femminili della sua narrazione emergono come donne forti e fragili, sottomesse ma capaci di decisioni autonome, espressione di un’analisi profonda sull’evoluzione della donna nell’ultimo secolo.

L’intervista offre uno sguardo dettagliato sul processo creativo e sulla visione di Cantagallo, confermando “Kintsugi” come un’opera di grande valore emotivo e letterario, capace di lasciare un segno nei lettori alla ricerca di storie di resilienza e trasformazione.

La tua formazione medica e teatrale ha avuto un impatto sulla tua scrittura. Come si riflettono questi background nell’approccio narrativo di “Kintsugi”?
L’aver scritto per il teatro su vari temi, che hanno spaziato dalla commedia a testi d’impatto storico compresi due musical di contenuto sociale, mi ha aiutato a individuare bene l’obiettivo del testo e a caratterizzare adeguatamente i personaggi. Mi sono attenuta alle regole suggerite da Aristotele nel suo testo La Poetica in cui definisce la materia, le regole stilistiche e quelle di costruzione di un testo
(teatrale, ma applicabile alla narrativa). Si parte dalla definizione di due principi fondamentali a cui il testo deve rispondere: quello della verosimiglianza (le vicende narrate non devono necessariamente essere reali e storiche, ma devono essere credibili e verosimili, ovvero seguire le leggi universali che regolano la realtà umana); e quello della necessità (i fatti devono essere legati l’uno all’altro in maniera razionale, secondo la logica di successione necessaria, basata sul principio di causa-effetto).
La mia formazione medica affiora sempre, seppur in modo sporadico, sia nel lessico che nella visione delle situazioni.

“Kintsugi” è stato finalista al concorso Giorgione 2023. Che significato ha avuto per te questa esperienza e cosa pensi che rappresenti questo riconoscimento per il tuo lavoro letterario?
Il riconoscimento del valore di un testo inedito, che è ancora migliorabile, a un concorso letterario fa sempre piacere. Quando si licenzia il proprio lavoro con il “ pronto si stampi” si rimane spesso con il dubbio sull’impatto che potrà avere nei lettori. La lettura da parte di estranei qualificati, come quelli di una giuria di un premio, attenua il senso di sospensione del giudizio e rincuora aver meritato una prima attestazione di stima.

Il romanzo esplora temi universali come il perdono e la guarigione. Cosa speri che i lettori traggano dalla storia di Marigiò, soprattutto in un contesto di cambiamenti sociali e familiari così profondi?
Spero che i lettori possano trarre un messaggio di speranza. A tutti noi è capitato di avere delle esperienze dolorose che ci hanno letteralmente frantumato dentro. Con l’aiuto della memoria che non può e non deve innescare un circolo vizioso di dolori e rancori, si può revisionare la propria vita, osservando le crepe. Se la memoria può rimettere mettere assieme i cocci diventando il collante per ricostruire, solo il perdono verso se stessi diventerà quella polvere d’oro che farà della tazza rotta della nostra vita un oggetto unico e prezioso, proprio come suggerito nell’arte del Kintsugi.

Come autrice, come affronti l’idea di scrivere una saga familiare che copre ampie fasce temporali? Quali sono le difficoltà e le soddisfazioni nel trattare temi complessi come la memoria e l’identità?
Quando ho iniziato a scrivere la mia saga la femminile avevo ben chiaro quale lavoro impegnativo mi aspettasse.
Sicuramente tanto studio della Storia e poi tante vicende da narrare, limando in personaggi secondo il contesto storico.
Era un obiettivo ambizioso che ha comportato anche momenti di scoraggiamento, ma alla fine penso di essere riuscita a rendere il mio pensiero sull’evoluzione della donna negli ultimi cento anni.
Scrivendo di vari personaggi al femminile, seppure da me creati, mi sono affezionata di volta in volta a qualcuna di queste donne: donne forti e fragili, sottomesse eppur capaci di decisioni autonome, mal amate ma sempre piene d’amore.