“La mia amica ombra”: la fiaba noir del coreografo Francesco Vecchione ipnotizza il Piccolo Bellini

a cura di Gabriella Diliberto

Foto di Federica Capo

Il sipario è aperto su una stanza, che capiremo presto essere quella del nostro io. Sedie rovesciate, uno specchio, un grande tavolo al centro, due ingressi, un disegno su una porta chiusa e due individui. Un uomo (Antonio Tello) e una donna (Maria Anzivino) sono ognuno il ricordo di qualcosa che non c’è più e, al contempo, l’ombra di sé; un’ombra consapevole e scomoda.

Il coreografo e regista Francesco Vecchione per il predebutto dello spettacolo “La mia amica ombra”, prodotto da ArtGarage e andato in scena nell’ambito della stagione Dance&Performance a cura di Manuela Barbato ed Emma Cianchi al teatro Piccolo Bellini di Napoli, sceglie atmosfere quasi macabre eppure non respingenti. Lo spettatore viene attratto dalle luci e dalle ombre della scena tanto da trovarsi subito al centro a riflettere, come essere umano, sui temi portanti dell’opera: la solitudine e il confronto con la propria coscienza. Aspettative e delusioni ci osservano e ci vengono a cercare nel quotidiano, ad esempio, in maniera inesorabile, all’ora dei pasti.

È così che, a un certo punto della performance, gli altri danzatori invadono la scena e i pensieri, maltrattandoli, deridendoli, con il volto coperto da maschere inquietanti. Ma chi c’è esattamente dietro quelle espressioni? Gli altri o le tante parti di noi che abbiamo voluto indossare per nascondere le nostre fragilità e ora tornano a giudicarci? E allora le assenze diventano presenze e i mostri generano sogni che, a loro volta, ne contengono altri. Il desiderio di scappare incombe come i tentativi di fuga che si ripetono, ma restare in quella stanza ad affrontare tutto, nudi, davanti a uno specchio, oltre a una sfida., diventa una necessità e, probabilmente, l’unica vera via d’uscita. Limoni e miele, dai sapori non a caso opposti, accompagnano i diversi quadri di cui è composta la storia. In quest’esplorazione dell’inconscio i danzatori sono chiamati a interpretare anche con la parola, a volte più esplicita, altre più ermetica e finanche cantata.

Evidente la preparazione e l’esperienza dei quattro protagonisti (Maria Anzivino, Manuela Facelgi, Shih-Ping Lin, Antonio Tello), sopra tutti della Anzivino, per l’eleganza delle linee, la dinamicità e l’elasticità dei corpi, che in certi casi arrivano a creare singolari effetti visivi, ma non di meno per la forza del temperamento sapientemente controllato così da non correre il rischio di “andare fuori”, come si usa dire in gergo artistico. Il resto del corpo di ballo aumenta d’inquietudine e sorpresa tutte le suggestioni.

La Compagnia di Emma Cianchi è tra le poche ad osare con un numero così nutrito di danzatori, frutto del grande impegno di ricerca dell’audace coreografa e produttrice che apre spesso, come nel caso di Francesco Vecchioni, a lavori con coreografi che rientrano nella sua stessa poetica e concezione della danza.